Il 2 giugno: Join the (B)right side! 

Vi starete chiedendo se questo sia l’ennesimo articolo su quanto sia stata importante la lotta delle donne per il diritto di voto e la creazione della Repubblica in Italia, dopo un lungo periodo di sconfitte e resistenza.

 

Spolier alert: ebbene sì, anche noi oggi vogliamo celebrare questa giornata, ricordando cose che ormai diamo per scontate. La storia ci insegna che fatto un passo in avanti non è detto che si continui la camminata o che poi non si inciampi o si sbatta fortissimo contro un muro fatto di tappeti elastici facendo mille passi indietro.

Il nostro Passato: L’eredità delle Costituenti

Il riconoscimento formale del diritto di voto alle donne cominciò a farsi realtà nel gennaio del 1945 quando UDI e Centri femminili dei partiti liberali, della sinistra cristiana, socialista e comunista rivolsero un appello accorato al Consiglio dei Ministri chiedendo, unite e risolute, l’estensione dei diritti elettorali alle donne. Un calcio alla legislazione sabauda del neonato regno d’Italia, secondo cui la donna doveva essere sottoposta alla potestà del marito a causa della sua incapacità giuridica. Una pedata all’ideologia fascista, secondo cui la maternità e la sola famiglia stanno alle donne come la guerra e la politica all’uomo. Io Tarzan, tu Jane insomma.

Il decreto legislativo del 1° febbraio 1945 incluse nella nozione di suffragio universale anche le donne, che esercitarono il proprio diritto di voto per la prima volta nelle elezioni amministrative del 1946. In questo primo decreto ci si dimenticò, per così dire, di includere la possibilità di eleggibilità delle donne, che fu sancita con un atto successivo nel marzo del 1946. In questa occasione, le donne che votarono furono più del 52% dell’elettorato e circa 2mila candidate vennero elette nei consigli comunali di tutta Italia. L’accesso al voto rimase comunque un diritto differenziale: poterono votare donne con più di 21 anni che non fossero prostitute che esercitavano il proprio lavoro fuori dai locali autorizzati, le case chiuse per intenderci.

Ma, per portata simbolica e politica, fu il 2 giugno del 1946 a coronare quella faticosa conquista. Un percorso fatto di lotte nei tribunali e di appelli sui giornali, nel Parlamento, nelle piazze, nel pubblico e nel privato.Una lunga marcia culminata con un voto di massa: 12 milioni di donne si recarono alle urne per votare al referendum tra Repubblica e Monarchia. Da questo momento, le donne divennero soggetti politici agenti, fautrici e narratrici della storia. È infatti alle 21 donne elette alla Costituente che si devono gli articoli 3, 37, 48 e 51 della Costituzione. In particolare, l’articolo 3 che figura tra i principi fondamentali e sancisce l’eguaglianza formale e sostanziale di tuttə lə cittadinə: un esempio di inclusività antelitteram.

Il nostro Presente e il nostro Futura

 Il voto fu certamente una conquista fondamentale. Le donne assunsero finalmente personalità giuridica: non più (almeno sulla carta) proprietà dell’uomo; non più solo “madri e spose esemplari” come le voleva il fascismo, ma cittadine con diritti e non meri oggetti di diritto. Purtroppo, il voto non è stato un punto di arrivo. Non lo è tuttora. Le disuguaglianze e le asimmetrie di genere sono ancora oggi marcatissime. Nonostante gli enormi passi in avanti, siamo sempre a rischio di una folata di vento che ci faccia tuttə sospingere indietro. Il soffitto di cristallo è stato incrinato, ma la discriminazione di genere rimane una costante.

Il Gender Equality Index prodotto dal European Institute for Gender Equality (EIGE) evidenza il permanere di discriminazioni e disuguaglianze di genere in Italia in otto macroaree fondamentali per lo sviluppo dell’empowerment femminile: lavoro (partecipazione, segregazione e qualità del lavoro); denaro (risorse finanziarie, condizioni economiche); conoscenza (livello di istruzione e partecipazione, segregazione); tempo (attività di assistenza, attività sociali); potere (politico, economico, sociale); salute (stato, comportamento, accesso); disuguaglianze intersezionali (disparità correlate ad età, abilità/disabilità, paese di nascita, istruzione e tipo di famiglia); violenza di genere. 

Con un punteggio di 63,5 su 100 (in cui non vengono calcolate statisticamente le ultime due aree), l’Italia è al 14° posto nell’UE rispetto all’indice di uguaglianza di genere. Il punteggio risulta essere di 4,4 punti inferiore rispetto alla media dell’UE.

Viviamo in un’epoca ancora fortemente discriminatoria nei confronti delle donne e delle minoranze.
C’è bisogno di scelte che prescindano da convinzione politiche. C’è bisogno di fare comunità, di unirsi, di riconoscere che i ruoli di genere sono frutto di un sistema di oppressione che interseca questioni legate alla classe, all’etnia, alla dis/abilità, all’orientamento sessuale.

In Futura cerchiamo costantemente di portare avanti l’eredità delle Costituenti, di garantire l’accesso al sapere per tuttə senza distinzioni di genere, origine, lingua, religione, opinione politica e condizioni personali e sociali. È un impegno, è lotta e resistenza quotidiana.

 

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