Storie di violenze quotidiane 
Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne – 25 Novembre 2021  

Illustrazione pazzeska di @in.buona.fede

Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne 

Oggi è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della Violenza contro le Donne, istituita per la prima volta nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Siccome la storia di questa giornata e i dati sulle violenze degli uomini sulle donne le leggerete sicuramente su altre centinaia di fonti in queste settimane, qui abbiamo pensato di raccontare, romanzandole in parte, delle storie di violenze quotidiane che ci è capitato di vivere e/o ascoltare.

 

Storie di violenza quotidiana

Ero al mare con le amiche, avevo 15 anni, e avevo deciso di lasciarlo qualche settimana prima, perché non ero più felice, non ero più innamorata. A 15 anni, avevo deciso di ascoltare i miei bisogni. L’estate mi dava voglia di spensieratezza, e c’era un altro ragazzo che al lido mi guardava tutto il tempo. Certo, se l’avevo lasciato, il mio ragazzo, era perché gli sguardi di quest’altro iniziavano a farmi dubitare del nostro amore. E chissà, magari avrei potuto provare cosa voleva dire baciare altre labbra. Lui, sempre il mio ragazzo, quello lasciato, un giorno è venuto al lido e mi ha chiesto di vederci. Voleva parlare. Mi ha chiesto se potevamo farlo un po’ fuori dal lido. Sì, sempre sul lungomare, ma un po’ più lontani dal casino. E va bene. Parliamo. Se è venuto fin qui, potrò almeno dedicarglieli dieci minuti. Parliamo, non capisce perché sia finita. Perché non è stato lui a finirla. Parliamo. In realtà lui urla. Mi tira due schiaffi. Ho le guance rosse, mi ha fatto male. Piango, ma giusto un po’. In realtà penso che me lo sono proprio meritato. Ma cosa pretendo? che a questo lo lascio, lo lascio per un altro, faccio quello che mi pare, e che poi lui stia calmo? Che follia. Torno dalle mie amiche. Racconto il fatto. Lo dico anche a loro: me lo sono meritato. Sono tutte d’accordo. Me lo sono meritato. 

Tornavo a casa dopo una festa, avevo un po’ bevuto e avevo deciso di chiamare Uber. Di tornare con i mezzi pubblici non se ne parlava, tantomeno di tornare a piedi a quell’ora. Il mio collega appena ha visto che chiamavo il taxi, mi ha chiesto se poteva venire con me. Certo, abitiamo vicini. Tanto meglio, dividiamo, mi fai pure compagnia. Che non si sa mai. L’Uber arriva, ci sediamo dietro, con la mascherina per il Covid. Lui ad un tratto si avvicina a me, si toglie la mascherina, il suo respiro inizia a diventare affannoso. Mi fissa, sento la sua eccitazione. Mi fa schifo. Inizia a baciarmi sulla spalla e sulla testa. Sono disgustata. Non so che dire. Ho lo sguardo fisso sulla strada, conto i secondi, cerco di capire quanto manca fino a casa mia. Sono pietrificata. E’ un mio collega e non voglio metterlo a disagio. Mentre dentro sto morendo. Pensa, in quel momento ho il cervello così pieno delle cazzate che mi hanno insegnato – sii gentile, sorridi sempreche riesco a pensare che il suo eventuale disagio (meritato!) ad una mia reazione aggressiva possa essere più importante di come mi sento io in quel momento. Parlo con il tassista, gli dico di fare in fretta. Scendo dalla macchina. Disgustata. Aspetto le sue scuse il giorno dopo. Ovviamente, non arrivano. Non era niente. 

Avevo conosciuto questo ragazzo in una vacanza, vari anni fa. Eravamo rimasti in contatto, ci stavamo simpatici. Non c’eravamo mai più visti. Questo per 6 anni. Abbiamo però continuato a scriverci. Che romantica questa situazione, mi dicevo. Alla fine, alla maggiore età, sono andata a fare un weekend con i miei amici nella sua città, e ci siamo visti. Ed è successo quello che speravo: ci siamo baciati. Come faremo adesso? Mi chiedevo. Tornata a casa, abbiamo continuato a messaggiare. Ma il desiderio di darsi piacere era diventato più forte a quel punto, così abbiamo iniziato a fare sexting. Lui mi scriveva messaggi che mi facevano eccitare, ed io gli mandavo foto e video di me. Tutto quello che lui chiedeva. Ogni tanto anche lui mi mandava delle foto e dei video di lui. Ma ero più io. Ci promettevamo di cancellarle una volta visualizzate. Io ho mantenuto la mia promessa. Con i mesi, la distanza, le cose non hanno funzionato più. Come succede a tanti, ci siamo lasciati. Non se lo aspettava. Pensava che gli stessi così sotto da non riuscire a fare questo passo. Si sbagliava. Ma non ce la faceva a perdere la sua posizione di potere. Ha iniziato a minacciarmi di pubblicare le nostre foto, le mie foto. Quelle che prometteva di eliminare. Le ha rese pubbliche. Senza il mio consenso. Me lo sono meritato? 

Lavoro nella mia azienda da 3 anni, prima ho lavorato per la stessa azienda come consulente esterna per 2 anni. Prima ancora ho lavorato come assistente alla didattica all’Università e ho fatto diversi stage in importanti Enti Nazionali. Prima ancora ho frequentato un’Università di Eccellenza dove ho preso massimo dei voti, alla triennale e alla specialistica e ho frequentato un Erasmus Program. Niente di particolarmente eccezionale, ma nemmeno pizza e fichi. Un anno fa, spinta da una serie di atteggiamenti troppo invasivi del mio capo, sempre comunque professionali,  e spinta dalla necessità di imparare qualcosa di nuovo, e anche, giustamente, dalla necessità di guadagnare di più, perchè la vita in questa città è faticosamente costosa, trovo una posizione aperta nella mia stessa azienda ad un livello superiore, con un salario superiore, dove si chiedeva di possedere proprio le skills che ho sviluppato in questi anni. Informo il mio capo della volontà di fare application, e lui mi risponde: ” sei un’immatura a voler cambiare posizione, che penserà l’azienda di te?”. Un’immatura, NON “non sei pronta”, NON “il ruolo non è giusto per te”, NON “spiegami le ragioni per cui vorresti cambiare”. Sai cosa avrebbero pensato tutti quelli come te se fossi stata un uomo? Che sono una persona ambiziosa, invece sono una donna e quindi sono solo un’immatura. 

Sono quasi 30 anni che stiamo insieme con mio marito. Una bella famiglia, una bella casa, un bel lavoro. Viviamo nella città di sempre. Non mi manca niente. Eppure certi giorni mi sembra di perdere la testa. Non ci sto, mi dimentico le cose, sono triste, non sono soddisfatta, dubito di me stessa. A questa età mi dico. Come faccio a dubitare così tanto di me stessa. Sono 30 anni che viviamo insieme. 30 anni che cucino, mi occupo dei figli, della famiglia, la spesa, il lavoro. Tutto insieme. 30 anni che il mio punto di vista viene ridicolizzato, banalizzato, inascoltato. Ma che ne capisci tu, mi dice sempre lui. E non con modi gentili. E’ vero, che ne capisco io. Io mica ho studiato per capirne. Non ne capisco. E quindi non parlo.

Quindi?

Dal primo Gennaio al 7 Novembre, 107 le vittime di femminicidio in Italia. Le donne di cui abbiamo raccontato le storie sono vive. E combattono, ognuna con i migliori strumenti che ha a disposizione. Ma la violenza è anche quella che abbiamo raccontato. E’ ogni abuso, ogni prevaricazione, ogni forma di potere che subiamo quotidianamente da compagni, amici, familiari, conoscenti, per strada, a casa, nella stanza da letto, a lavoro.

E vorremmo dire che la colpa non è vostra, amici uomini, perché non ci piace farvi sentire a disagio.

Il punto è che lo è, non di tutti, ma lo è.

Sicuramente, in parte, siete anche voi vittime del patriarcato – e ci dispiace per questo – ma, da un’altra parte – e senza stare a prendere le misure di quella che conta di più –  concedetevi di non distogliere lo sguardo dalle situazioni prevaricanti. Concedetevi di non essere sempre nella posizione di potere. Concedetevi di trattarci con empatia. Concedetevi di trattarci con rispetto. Concedetevi di essere pari a noi, perchè lo siamo